Chi soffre di dolore cronico spesso deve organizzare le sue giornate in funzione di questo sintomo. Ecco perché una terapia adeguata non può costringere alla stessa routine.
Il dolore cronico è un disturbo debilitante con un impatto che va ben oltre la semplice sensazione di disagio fisico. Secondo uno studio indipendente, ci sarebbero oltre 100 milioni di persone in Europa, dei quali 13 milioni in Italia, a soffrire per questo disturbo1.
Si tratta di un fenomeno molto esteso, dunque, che può comprendere origini diversissime ma che conduce alla necessità di focalizzare l’attenzione non solo sul paziente, ma anche sui caregiver e sull’ambiente familiare che potrebbero subire le conseguenze del disagio che diventa così di ordine più ampio. Il dolore cronico, infatti, non è debilitante solo per chi lo sperimenta ma può essere fortemente impattante anche sulla vita di coppia, sulla relazione con i figli, con gli amici o sul lavoro. In poche parole, il dolore cronico può minare severamente anche la sfera relazionale e psicologica del paziente che si trova così ad avere a che fare non più solo con un problema da risolvere, ma con molteplici.
Quando il dolore si definisce cronico? Se hai dubbi puoi leggere il nostro articolo che lo spiega.
Chi soffre di dolore cronico deve spesso organizzare le sue giornate in funzione di questo disturbo, limitando la propria mobilità, le attività quotidiane e, in molti casi, la capacità di mantenere un lavoro a tempo pieno o di partecipare a eventi sociali. Ecco perché una terapia davvero adeguata dovrebbe cercare di offrire un approccio personalizzato e multidimensionale, che tenga presente anche la necessità di riportare il maggior benessere possibile nella vita quotidiana.
Il dolore cronico ha un impatto psicologico e sociale
Il 30-40% degli adulti soffre, nell’arco della propria vita, di forme di dolore cronico non oncologico2. In una percentuale significativa dei casi, il dolore risulta moderato-severo ed è associato ad una diminuzione dell’attività fisica e a un peggioramento della qualità della vita3.
Accanto a queste percentuali, ci sono quelle del Rapporto del Consiglio UE sul ruolo del dolore e delle malattie croniche4 che specifica che almeno il 22% della popolazione colpita da dolore cronico soffre di depressione e ansia a causa delle limitazioni causate da una quotidiana sofferenza. Chi soffre di dolore cronico vede infatti compromesse le sue relazioni familiari, sociali e interpersonali provando così un grave senso di malessere e sfiducia verso il presente e il futuro.
La gestione del dolore cronico comporta un onere significativo per gli individui, i datori di lavoro, i sistemi sanitari e la società in generale. Infatti, l'impatto personale, sociale ed economico del dolore cronico è pari, se non superiore, a quello di altre priorità sanitarie stabilite. Questo impatto è dovuto anche a ragioni pratiche: la perdita di produttività, l'assenteismo sul lavoro e i casi di pensionamento anticipato, sono sintomatici del fatto che la gestione del dolore dovrebbe mirare a riabilitare completamente i pazienti anche dal punto di vista generale e non concentrarsi principalmente sul sintomo doloroso5.
Risolvere il dolore non è più importante del benessere generale
Si legge in un articolo scientifico: “Presentandosi dal clinico, il paziente tende il più delle volte a sottovalutare gli aspetti psicologici, a non considerarli e focalizzare l’attenzione solo su quelli di natura organica, che spesso costituiscono la causa più semplice da accettare. In molti casi, infatti, i problemi di natura psicologica, se non psicopatologica, vengono sottovalutati o negati e si ritiene che, se il dolore dovesse scomparire, non esisterebbe più alcun problema per il paziente (Ercolani, 1997)”6.
Questa testimonianza chiarisce un primo aspetto: la percezione del paziente rispetto alla sua salute psicologica (e psicosociale) che passa in secondo piano rispetto al dolore, percepito come il sintomo principale e più urgente da risolvere.
La consapevolezza dell’importanza della salute psicologica e psicosociale arriva in ritardo
Un altro fattore riguarda l’attenzione agli aspetti psicologici e relazionali che spesso, proprio per il motivo espresso prima, arriva in ritardo: “la presenza di dolore cronico […] richiede che l’attenzione non si focalizzi solo sul sintomo dominante. La terapia deve riguardare il quadro clinico del paziente nel suo insieme di dolore, stanchezza, depressione, ansia, paura, rabbia. Il medico del dolore rimane, o se non lo era diventa, il medico della persona. Un simile approccio necessita una preparazione e una disponibilità emotiva del clinico, oltre che tempi e luoghi adatti dove il paziente possa raccontare i propri sintomi e vissuti senza subire pressioni (Ercolani, 1997)”7.
La stitichezza indotta da oppioidi e l’impatto sulla vita sociale
I farmaci oppioidi per il trattamento dei pazienti affetti da dolore cronico sono considerati uno strumento valido per un controllo ottimale del sintomo doloroso8 ma, se da un lato risultano efficaci, dall’altro possono comportare degli effetti indesiderati frequenti come la stitichezza, un fattore che può impattare molto sul benessere quotidiano, e non solo per i disagi stessi della stipsi.
La costipazione indotta da farmaci oppioidi (CIO) è un tipo particolare di stitichezza che può impattare in modo particolare nella vita dei pazienti trattati, già alle prese con la gestione del dolore. La CIO, che è più di una insistente costipazione, arriva spesso inattesa e provoca ulteriore stress, senso di disfatta, impotenza e può debilitare ancor di più corpo e mente del paziente in trattamento per il dolore cronico.
Tra le altre cose la stitichezza, spesso, provoca ulteriori fastidi: senso di pesantezza, pressione addominale e dolori al ventre sono molto comuni nelle persone costipate e possono andare persino a inficiare l’azione benefica dell’oppioide.
Il paziente che soffre l’impatto della correlazione tra l’oppioide e la stitichezza (che non è nota a tutti e non sempre i medici riescono a fare un’azione informativa) spesso preferisce sospendere il trattamento analgesico provando altre strade che però potrebbero risultare non così efficaci.
La stitichezza non è sempre la stessa
Se sei in trattamento con farmaci oppioidi il tuo problema potrebbe essere la CIO
Da un problema all’altro: perché l’uso di lassativi potrebbe non bastare ai pazienti con CIO
Il dolore cronico è debilitante, estenuante e ha un forte impatto psicologico. Così, quando (finalmente) si riesce a elaborare una strategia antalgica per il controllo del sintomo principale, il paziente si aspetta di recuperare appieno la sua vita quotidiana, il benessere e la possibilità di tornare a compiere tutte le attività che considera normali.
È qui, però, che potrebbe sopravvenire l’effetto indesiderato più insidioso degli oppioidi e ne parla anche una pubblicazione del Ministero della Salute8 a proposito della gestione del dolore cronico in medicina generale: “È un dato ormai consolidato come la terapia con oppiacei determini nei pazienti la comparsa di effetti collaterali indesiderati. Alcuni di questi sono transitori e tendono a scomparire nel tempo con il prosieguo della terapia […] come, per esempio, la nausea e il vomito. Altri, per esempio la stipsi, compaiono precocemente e sembrano perdurare anche con il prosieguo della terapia. […] La stipsi, invece, deve essere prevenuta fin dalla prima prescrizione di oppiacei con la prescrizione contemporanea di lassativi”.
La CIO, come viene definita la costipazione indotta da oppioidi, conduce ad una difficoltà di gestione dei ritmi fisiologici quotidiani e provoca disagi che possono ridisegnare le necessità di tutti i giorni. Ma in che senso?
Nei pazienti che sviluppano la CIO si possono manifestare delle complicanze. Quando si parla di stipsi perdurante, le complicanze comuni sono:
- Dolore addominale
- Malessere generale
- Nausea o vomito
- Diarrea paradossa (una “falsa” espulsione di feci liquide che riescono a passare oltre un fecaloma e ad essere espulse senza però liberare il paziente)
- Pseudo-ostruzione addominale
- Ritenzione urinaria
Questi effetti risultano essere talmente tanto impattanti nella vita quotidiana che circa il 30% dei pazienti riduce o interrompe il trattamento con oppioidi proprio a causa della stitichezza9. La CIO può essere percepita come ulteriormente stressante e causare quindi sofferenze fisiche e isolamento sociale10.
E se proviamo con un lassativo?
I dati di una indagine condotta al livello internazionale su pazienti con dolore cronico in trattamento con oppioidi, indicano che una percentuale di pazienti superiore all’80% continua a soffrire di costipazione nonostante il trattamento con lassativi convenzionali11.
La sensazione può essere quella di passare da un problema ad un altro, conducendo a un atteggiamento di sfiducia e rassegnazione, oltre a evidenti difficoltà quotidiane.
Ma non solo. L’uso di lassativi può condurre alla necessità di gestire le urgenze: spesso l’effetto del farmaco provoca scariche improvvise e ripetute che costringono il paziente a restare a casa, oppure nei pressi di un bagno fruibile e comodo per queste necessità.
Ecco perché è importante parlare con il medico di questo problema per trovare con lui la soluzione più adatta tra quelle disponibili: oltre ai lassativi esiste infatti anche una classe di farmaci, chiamati PAMORA, studiata proprio per rispondere in modo specifico al problema della CIO[MM1] . Sono farmaci che non contrastano l’azione dell’oppioide sul dolore, ma sono efficaci nel controllo degli effetti al livello intestinale.
Le sfide quotidiane del paziente con dolore cronico
Chi sperimenta il dolore cronico, oncologico o non oncologico, può dover affrontare molte sfide quotidiane:
- Il dolore cronico riduce la mobilità: l’intensità, la durata e la localizzazione del dolore possono condizionare le capacità fisiche.
- Difficoltà a mantenere un sonno sufficiente o una qualità del sonno soddisfacente con relativo aumento dello stress, del senso di stanchezza e di altre implicazioni dovute alla mancanza di riposo (apatia, scarsa concentrazione, irritabilità, etc).
- Scarsa costanza sul lavoro e aumento delle assenze che potrebbero compromettere la stabilità stessa della vita lavorativa.
- Il dolore cronico può compromettere la vita sociale e familiare, limitando le attività di svago e le relazioni determinando una sorta di “isolamento” dovuto anche alla difficoltà di pianificare attività (vacanze, eventi, appuntamenti, etc) per la natura improvvisa con la quale si presenta il dolore acuto.
Si tratta di grandi disagi che è importante provare a ridurre con i giusti trattamenti e le giuste terapie. Ecco perché è fondamentale instaurare un dialogo schietto e sincero con il medico e chiedere informazioni sui trattamenti disponibili e sugli eventuali effetti indesiderati, senza timore;
per il benessere non solo del paziente, ma anche dei suoi familiari, dei caregivers e del pieno recupero di una vita quanto più possibile normale e soddisfacente.